Io scendo qua. Senti come suona bene questa frasetta, Corta, semplice, senza possibilità di replica. La fine di un viaggio, più o meno lungo, condiviso con qualcuno. Una frase che non ammette repliche, richieste, suppliche, Definitiva. Tranchant.
Ecco, in questa notte nella quale mi sono svegliata e non riesco più a riaddormentarmi questa piccola frase riempie la mia testolina matta.
Non è un urlo disperato di chi soffre, come potrebbe essere un “Basta!” urlato a squarciagola, è più un’affermazione detta a mezza voce, ma decisa e senza tentennamenti. È la consapevolezza che non sei adeguata a stare in questo mondo o almeno in questa parte di mondo. Forse fino ad oggi ci avevi vissuto, ci eri stata dentro perché in fondo poi non era così male, perché non avevi alternative, perché eri abituata così, perché, perché…
Poi, all’improvviso, arriva quella notte in cui capisci che la tua corsa è finita, o meglio che QUELLA CORSA è finita ed è giunto il momento di scendere dal mezzo sui cui hai viaggiato fino ad oggi e semplicemente prenderne un altro che va in una direzione diversa. Perché non puoi stare sempre in un posto o un contesto dove non stai bene, non puoi sempre farti andare bene tutto, farti scivolare via di dosso quello che ti succede, quello che vedi o che leggi, prima o poi quello schifo ti si attacca alla pelle e si ferma lì.
Siamo cittadini di un Paese che non ha speranze, parte di un mondo che non ha speranze. E io non ci voglio stare in un posto così. Senza urlare, senza incazzarmi, ma con la fermezza di chi ha capito o almeno ha raggiunto determinate convinzioni, giuste o sbagliate che siano. E allora scendo.
Io scendo qua.
Vi lascio il vostro mondo polarizzato, o sei con Israele o sei con i palestinesi, o sei con la Russia o sei con l’Ucraina, o sei con la Meloni o sei con… Ah no, questo non si può dire, perché dall’altra parte del paragone non c’è nessuno.
Vi lascio i vostri social che sono capaci solo di produrre odio o stupidità, nella migliore delle alternative.
Vi lascio la musica di merda, tra cui tutta la produzione mainstream italiana, da Sanremo ai vari talent show a tema musicale, dal neomelodico che va sempre alla trap che forse un giorno smetterà di andare (e quello sarà un bel giorno).
Vi lascio il mondo che corre, corre, corre (ma dove cazzo corri?), quello in cui conta ciò che fai vedere di essere, non ciò che sei, quello in cui l’attenzione dura mediamente 5 minuti, perché poi c’è già qualcos’altro che stimola i tuoi sensi, quello in cui non hai più diritto all’oblio, perché la tua vita è pubblica, controllata, tracciata, pesata e mercificata.
Vi lascio la società degli uomini, nella quale una donna non può rientrare a casa da sola la sera senza avere paura di incontrare qualcuno che le possa fare chissà cosa, quella stessa donna che, a parità di mansioni, prende il 20% di stipendio in meno di un uomo o viene guardata storta quando dice al suo datore di lavoro che è incinta.
Vi lascio il paese di Dante, Michelangelo, Raffaello, Leonardo da Vinci, ma anche di Mazzini e Garibaldi, della lotta partigiana e della ricostruzione del dopoguerra, quello di Moro e Berlinguer, quello di Tenco, Pasolini, Guccini, De André, di Fellini e Antonioni e di tutte altre grandi personalità che ho sicuramente dimenticato, quel paese che abbiamo affossato, distrutto, mangiato pezzo a pezzo in 70 anni di storia, che i nostri nonni ci hanno consegnato dopo la guerra sperando che ne facessimo buon uso e del quale invece lasceremo alle nuove generazioni solo le macerie.
Io scendo qua.
Mi godo l’aria fresca che entra dalle porte che si aprono e vado a fare il biglietto per una nuova destinazione.
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